Seconda puntata della serie dove ti racconto cosa fanno le aziende con i dati personali acquisiti tramite i pixel tracker (o tag tracker). Pensi che servano solo a mostrarci la pubblicità giusta al momento giusto? Purtroppo non è così.
L’elenco di tutte le puntate lo trovi qui. In fondo a questo articolo trovi il video di questa puntata.
Cenni a GDPR, cookie e informazioni personali
Per quanto riguarda la privacy, molto probabilmente saprai che dal maggio del 2018 è in vigore il GDPR – un’evoluzione europea di quella che era la legge italiana sulla privacy – legge che si occupava della protezione dei dati personali degli utenti.
Secondo il GDPR, è un dato personale qualsiasi informazione che sia in grado di identificare una persona fisica. Ne ho parlato in dettaglio in questo articolo scritto in collaborazione con iubenda, ma in sintesi possiamo dire che l’indirizzo IP è considerato ad esempio un dato personale, quindi, nella stragrande maggioranza dei casi, l’uso di questi pixel tracker su un sito, deve aderire alle regole del GDPR, poichè i tracker acquisiscono quasi sempre l’indirizzo IP.
Ma da utenti, diciamocelo chiaramente, raramente (per non dire mai) leggiamo la privacy di un sito o ci interessa sapere quali dati vengono acquisiti. Apriamo un sito e lo navighiamo senza preoccuparci della privacy policy.
Dati di navigazione: il gestore del sito
In generale, per cosa possono essere utilizzati i nostri dati di navigazione (che sono a tutti gli effetti dati personali)? Dipende dai tracker presenti sul sito che stiamo navigando e – ovviamente – anche da chi li utilizza questi dati.
Prendiamo ad esempio il sito che stai leggendo adesso www.omarventuri.it sul quale io ho installato diversi tag, tra cui quello di Google Analytics.
Perchè l’ho installato? Beh, Google Analytics è uno dei servizi più diffusi (vedremo i dati in una delle puntate successive) e la sua popolarità è dovuta al fatto che si tratta di uno strumento molto evoluto, gratuito, con il quale possiamo analizzare il comportamento degli utenti del nostro sito.
In qualità di gestore del sito, ho accesso a molti report tramite i quali comprendere meglio cosa fanno gli utenti.
Dal mio punto di vista non c’è altro. Google raccoglie i dati delle visite del mio sito perché così io possa migliorarlo, analizzandone i dati.
Non posso conoscere l’identità dei singoli utenti, ma ho dei dati che mi dicono ad esempio se le visite stanno crescendo, se la qualità delle visite sta aumentando o da quali città provengono le visite
Dati di navigazione: il gestore del pixel tracker
Il discorso cambia ovviamente dal punto di vista dell’azienda alla quale arrivano i dati (dal punto di vista di Google nel nostro esempio) che in questo modo raccoglie dati di milioni di utenti e li può utilizzare per proporre – agli stessi utenti – pubblicità in linea con i loro interessi.
Fondamentalmente funziona così: ognuno di noi naviga migliaia di pagine ogni anno. Google, raccoglie i dati da milioni di siti diversi ed è in grado di sapere quali sono le pagine che ognuno di noi ha visitato sui diversi siti.
Così io oggi visito il sito repubblica.it e domani visito il sito netflix.com? Ecco, Google è in grado di associare quelle due visite a me – in genere anche se sono fatte in momenti diversi ed anche da dispositivi diversi.
Ora, pensa che per ogni utente Google riesce a raccogliere i dati di navigazione di tantissimi siti (non tutti, ma decisamente molti) ed è quindi in grado di comprendere quello che ci piace di più.
Domani arriva un’azienda che deve promuovere un portale immobiliare? Ecco che Google è in grado di mostrare la pubblicità di quel portale a chi è in cerca di casa. Per Facebook, LinkedIn, Twitter, Pinterest, Instagram il ragionamento è analogo. Si tratta di raccogliere dati che vengono utilizzati per ottimizzare le pubblicità.
Circoli virtuosi e viziosi
La “pubblicità giusta, alla persona giusta, al momento giusto” in genere funziona, ossia fa in modo di aumentare il volume di affari alle aziende che fanno pubblicità. E poichè le pubblicità funzionano, le aziende tendono a spendere di più in pubblicità, portando queste piattaforme ad investire a loro volta per migliorare sempre di più i loro sistemi, per essere migliori della concorrenza che si fa sempre più agguerrita.
Questo è sia un circolo virtuoso (dal punto di vista della tecnologia che continua a migliorare) che un circolo vizioso poichè – in una visione pessimistica – si finisce con il considerare le persone come dei consumatori da spremere sempre di più arrivando alla manipolazione per indirizzarli verso il prodotto da vendere.
Ma come se questa visione non fosse abbastanza negativa, a questo si aggiunge il fatto che il “prodotto” ormai sempre più spesso può essere qualsiasi cosa. Non solo un oggetto, ma un’idea o… un voto.
Utilizzi alternativi (positivi)
Prima di guardare alla politica però bisogna dire che i dati possono essere utilizzati anche per finalità positive. Ad esempio dal 2004 al 2015 Google utilizzava i dati ricavati dalle ricerche effettuate direttamente nel motore di ricerca, per effettuare a sua volta delle previsioni sulla diffusione dell’influenza nelle varie nazioni.
Dati di questo tipo permettevano di gestire al meglio l’arrivo di epidemie di influenza, perché si potevano anticipare, semplicemente andando ad analizzare quello che le persone cercavano online. In sintesi (e semplificando), se in una data zona geografica si registrava un aumento delle ricerche relative a farmaci contro l’influenza, si poteva ipotizzare che a breve l’influenza sarebbe arrivata anche nelle aree confinanti.
Utilizzi alternativi (negativi)
Politica
Come dicevo, la politica si sta approfittando del potere che danno questi dati.
Immagina ad esempio un politico candidato alla guida di una nazione, che deve fare un comizio in una piccola regione. Di quali tematiche dovrà parlare per fare breccia nei cuori (e nelle menti) delle persone? Degli equilibri di politica nazionale o del ponte fuori uso e della strada provinciale piena di buche?
A priori in realtà non si sa. Ma lo si può sapere analizzando le conversazioni online di chi vive in quella zona. Questo tipo di analisi non è nulla di complicato – per quanto ovviamente servano delle specifiche competenze.
Una volta acquisite queste informazioni, ecco che il politico di turno potrà utilizzarle sapientemente per parlare di quello che vogliono sentirsi dire le persone.
Tuttavia (t-u-t-t-a-v-i-a!) fino a qui non c’è nulla di nuovo… sono attività che sono sempre state fatte, con altri mezzi. La vera novità ora è che è possibile essere sempre presenti agli occhi di quelle persone, comprando spazi pubblicitari che non vendono prodotti appunto, ma “vendono” (diciamo così) idee… vendono quello che le persone vogliono sentirsi dire. Ma lo vendono praticamente sempre e non solo per la durata di un comizio.
La campagna di Donald Trump
Fonti riferiscono che Donal Trump abbia iniziato la propria campagna con un investimento di 2 milioni di dollari in pubblicità su Facebook ed alla fine abbia speso circa 70 milioni di dollari al mese in pubblicità.
Ci sono poi casi borderline, come quello di un giudice del Minnesota che nel 2017 ha chiesto a Google di fornire alla polizia cittadina di Edina tutti i dati relativi agli utenti che, in quell’area specifica, abbiano fatto una specifica ricerca online in un certo lasso di tempo. Questo per identificare un truffatore.
La sanità
Come ho già detto, la sola presenza dei tracker sui siti non è di per sè negativa. I pixel tracker devono tuttavia essere opportunamente segnalati nella privacy policy (noi utenti abbiamo il diritto di sapere chi avrà accesso ai nostri dati).
Inoltre – e non ultimo – una cosa è inserire un tracker su un blog che parla di marketing o su un sito di notizie, tutt’altro – come puoi immaginare – è inserire un tracker su un sito per adulti o su un sito dove si forniscono informazioni sul test per l’HIV.
Dove vanno a finire i nostri dati?
Chiaramente, come per tutte le categorie, possiamo dire che non tutti i siti che gestiscono tematiche sensibili sono uguali. Alcuni ci tengono alla privacy degli utenti e per questo motivo evitano completamente di inserire tag nel loro codice, come questo sito rivolto alla comunità gay che invece non presenta alcun tracker.
Il video di questa puntata
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